sabato 4 febbraio 2017

Arti marziali e paura

L'aikido (o le arti marziali in generale) è lì per ricordare che ogni tentativo di mascherare la paura è senza speranza. Nessuna strategia, nessuna tecnica perfetta, nessuna sicurezza, nessun kata. 
Quando si ha il coraggio di stare con quella paura, con quel dubbio, con quel disagio, l'aikido inizia a farsi strada da dentro. Per essere praticato realmente necessita di una piena disponibilità del praticante. Se sono infelice, la pratica non mi aiuterà, perché pretendo sempre di arrivare a qualcosa. 





Elementi emozionali come rabbia, rancore, desiderio di affermarmi, bisogno di considerazione, non permetteranno alla disciplina di entrare su tutti i livelli, tecnico, spirituale e artistico. Chiaramente questi bisogni infantili troveranno scuole ben disposte a vendere fumo, pur di far credere che quella paura fondamentale non ci sia. Seguire il sentire, non imporsi un modello esotico di "armonia, pace, amore" quando in realtà si vorrebbe lasciare la moglie ma non si ha il coraggio di farlo, picchiare il vicino, o circondarsi di approvazione e consolazione. 




Ad un certo livello ogni attività è uno sfogo, cioè una fuga. L'aikido può aiutare se si prende coscienza della propria paura fondamentale, altrimenti sarà solo un vestito che metto e tolgo solo in quell'ora di allenamento, per poi tornare ad essere infelice e mascherare questa verità. Ushiba, il fondatore, diceva che l'aikido era per i puri di spirito. Non ci sono attività inferiori o superiori. Seguire il sentire, non mentire a se stessi. 
Quando ho paura di qualcosa, ne approfitto per rendermi conto che non è la cosa a farmi paura: la paura c'era già prima.
Allora mi slego dalla situazione, e scopro che è la storia a farmi paura, come il pretendere di dovermi liberare dalle paure, o che la tale cosa non doveva accadere e che tale tizio non doveva farlo. Non decido nemmeno di accoglierle, perché la paura è sempre con me. Non localizzo la paura su una storia o un pretesto, e non la localizzo in nessuna parte del corpo. Lascio che si espanda. Con la non-pratica, con la non-gestione, pian piano mi libero del conflitto psicologico. Il corpo è libero di agire efficacemente, nelle sue capacità, e senza affettività. Non importa quanto tempo ci vorrà: si gioca, si sente, si esplora, nessun pretendere di arrivare a qualche risultato.

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